Avendo l'animo, e non solo il sedere, decadente, amo settembre e tutta la sua malinconia.
O forse, amo settembre e i suoi fichi, l'uva, i porcini, le castagne, i cachi, le prime zucche e cietera.
A sedici anni non vedevo l'ora di finire gli studi, perché tutto questo ben di Dio non riuscivo a mandarlo proprio giù (figurativamente parlando, a livello gastrico macinavo volentieri tutta la frutta disponibile nel mese, approfondendo la conoscenza dell'orticaria per svariegate indigestioni) a causa dell'inizio delle scuole.
Pensavo che, lavorando, sarei stata libera, finalmente, di assaporare l'aria frizzante del mese, i primi freddi, le piogge, le prime minestre bollenti, l' aufffh espirato indossando un golfino e decontraendo i muscoli (sempre che esistano), le mele mature e la quantità di frutta secca che avrebbe fatto la gioia di Dumbo.
E cosa dire, ora che lavoro, che finalmente non vado più al liceo, che finalmente non ho più tutti i pomeriggi liberi, che finalmente non ho più tre mesi filati di gnente assoluto e ferie continuative, senza contare i quindici giorni di Natale, le vacanze di Pasqua, e perfino due giorni a carnevale.
La me attuale farebbe un bigliettino da recapitare alla me sedicenne con le scritta : cogliona.
Ma poi non capirei.
Vedevo
Una casa mia doveva essere il mio regno e il mio rifugio.
Invece.
Vedevo i trentenni come quelli realizzati, che non solo vivevano la propria vita, ma ancora, magari per pochi anni, potevano scegliere la direzione da darle.
Liberi, insomma.
Stamattina mi sono sentita per un momento pure io così, libera, e pure un pochino ribelle.
E poi ho realizzato che la sensazione derivava dal fatto di essere sola in casa, e poter stare in bagno tre quarti d'ora, con la porta aperta e la Settimana Enigmistica nuova fra le mani.
Io ai sedicenni due paroline in più sulle prospettive dell'età adulta le farei.
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