sabato 26 luglio 2014

Letture







Leggere un libro mi lascia sempre qualcosa in più rispetto a prima.
(Anche mangiare in generale mi lascia sempre qualcosa in più, ma si tratta di chili).






Mi piace l'odore della carta e il crunch che fa la copertina ancora da aprire del tutto, mi piace dimenticare chi sono, solo per un pochino, e vivere altre vite.
Se è un buon racconto, mi dimentico perfino di mangiare.
(se è meno buono, si trovano svariegate macchie di svariegati alimenti sulle pagine).
Mi piace scoprire autori nuovi, mi piace affezionarmi a loro e non mollarli più.
Mi piace leggere un paio di libri contemporaneamente, anche se poi mischio i generi e mi chiedo che razza di camurria sia  The China Study, perché nel frattempo stavo finendo un libro di Camilleri.
Mi piace leggere i classici, quelli che da sempre esistono negli scaffali delle biblioteche.
Mi piacciono tanto, se sono stati letti da generazioni  ci sarà un motivo.
E non intendo i best seller, che non per forza sono stati best written, intendo proprio i classici, da Calvino a Manzoni, mica caccole.

E a proposito fino a ieri, pensavo che in assoluto il maggior successo editoriale  fosse quello che vendono davvero dappertutto, dagli Autogrill alle cartolerie, dai supermercati alle librerie, quello insomma che trovi in tutti i paesi.

Quel libro che si trova in tutti i formati.
Quello davvero economico.
Quello che nemmeno ha bisogno di una vera traduzione.
E no, non  stiam parlando della Bibbia.


Poi ho scoperto che in realtà sono block-notes, e non si tratta del libro  "Tutto quello che gli uomini sanno delle donne".

Però tutto quel bianco e quel vuoto ci stava bene, con quel titolo lì..


martedì 8 luglio 2014

Globetrotter


Se avessi cercato di convincere la me dodicenne che avrei superato i trenta lavorando come anonima impiegata in un posto grande come lo sfintere di una formica,  sovrappeso, con un compagno che ha tanti soldi sul conto quanti capelli in testa - e lascio intendere il dramma tricologico in corso - mi sarei sparata seduta stante, dopo aver fatto una breve incursione nel futuro per prendermi a sberle e dirmi "vergognati, imbecille".

Oggi mi è passato davanti il banner di un volo last second, e in accordo con i piani di me vent'anni fa avrei dovuto prendere la carta di credito, buttare due straccetti da cento euris l'uno in valigia, e partire col mio compagno sexy e ricco e pazzamente innamorato di me.

La verità è che né io né bellicapelli abbiamo più voglia di muoverci, e aspettiamo il fine settimana con l'eccitante prospettiva di farci un sonnetto sul divano.

Per fortuna c'è lei, che ci costringe a muoverci.



L'ha scelta Lui, tra tutti gli sfigati del canile, con la nobile motivazione che:

"è alta. 
E magra.
Magari t'ispira".

(se ve lo chiedete: no, non mi ha ispirata)

Finché ho ufficialmente vissuto come parassita dei miei, ho approfittato del loro portafoglio - che si apriva con generosa dilatazione - per viaggiare. (A trent'anni passati mi trovo al massimo a pisciare il cane due isolati più in là) (e a volte non ne ho manco voglia) (comunque, a livello di finanze, non mi potrei permettere nemmeno una gita a Sbrodonzo Inferiore, ora come ora).

La cosa meravigliosa del viaggiare, per me, era farlo da sola, trovando una famiglia con cui stare; di solito capitavo in nuclei ove il padre era un signore di una certa classe che faceva giochi di parole assolutamente incomprensibili e poi passava la restante parte della mia gita nel vano tentativo di spiegarmeli, terminando l'ultimo giorno con un desolato"lascia perdere". Specifico che si trattava di tedeschi, gente meravigliosa per molti aspetti ma col senso dell'umorismo di una lattuga, mediamente.
Di quel periodo ricordo che le città erano sempre schön e il cibo molto gut, e null'altro. Un paio di giorni fa ho incontrato un turista e ho provato a chiedergli come si chiamava il cane, tanto per distogliere l'attenzione dal fatto che la mia stava cercando un approccio olfattivo-culifero con l'esemplare teutonico, e invece del doveroso wie heisst es mi è venuto fuori wie weit ist es, che si avvicina più a "quanto manca", una cosa tipo "quanto ha ancora da star sulla terra questo catorcio di bestia?".

Lasciamo in pace Goethe e il suo idioma.

Ho trascorso un bellissimo periodo presso una famiglia negli Steit ( oh yeah), un periodo discretamente lungo.
Non sapevo una parola una di inglese, ne avevo bisogno per laurearmi,  e quello era il sistema migliore per imparare in fretta.
L'indulgenza delle persone nei confronti del fatto che non conoscessi la loro lingua era già sparita al terzo giorno, è gente pragmatica, senza pazienza, tipo che se Iddio avesse creato il mondo dall' Oklahoma non gli avrebbero concesso la domenica per riposarsi ma al giovedì avrebbero già preteso un BurgerKing, una Pepsi e un tacchino ripieno.
Mi facevano vedere un sacco di film, tutte pietre miliari del cinema.

"Mai visto Reservoir Dogs?"
(vai a capire che intendevano "Le Jene")

"No"

"Lo guardiamo stasera. E' la storia di un'aragosta violenta"
(un po' scioccante, ma si trattava pur sempre di Tarantino, perbacco)




(o forse avevo capito male. Il film trattava di un criceto manesco)
















(certo che ne ha di fantasia, quel regista)



(Continuavo a chiedermi, guardano il film, quando sarebbero comparse le chele giganti o i brutali dentoni a spaccare tutto, per poi realizzare che aveva detto  mobster - criminale - e no  lobster - aragosta-  e tantomeno  hamster - criceto).

(che delusione, comunque, era solo un malvivente, un criceto assassino sarebbe stato il massimo)

E anche con la lingua che pensavo di padroneggiare più di tutte - ma provate voi a lavorare in francia e capire per telefono le lamentele di un signore in piccardia che non ha ricevuto il pacco, poi ne riparliamo - ho avuto difficoltà, una volta sul posto.
Dove, dando per scontato di intendere almeno il cinquanta per cento di ciò che mi diceva la gente intorno, volevo  fare quel minimo di vita sociale che finalmente potevo permettermi, e così avevo dato un appuntamento ad un amico della collega.
Così, i francesi fanno proprio così        





"E comme fasciò a riconoscerti entre les autres?










"Oh, beh, non ti preoccupare, mi riconoscerai subito. Sono quella con le mutande"




Ho proprio detto così, "j'ai les culottes".



Avrei voluto dire "j'ai les lunettes", porto gli occhiali.

Ma mi sono confusa.




Forse è un bene, che la mia carriera prosegua qui in Italia.